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PER UN LAVORO CHE QUANTO PIU’ CI SOMIGLI

Questa volta non è stato il lavoro a sceglierci, ma esattamente il contrario.
E sapete tutti che al di là di qualsiasi narrazione Coccadoro è nata da una volontà precisa che è stata, senz’altro,  guidata dalla necessità di lavorare ma motivata dalla volontà di decidere, questa volta, verso chi o cosa avremmo avremmo guidato la nostra energia .
Abbiamo scelto di lavorare per noi. Nel significato più intimo e stretto di questo termine.
Che non vuol dire unicamente essere imprenditrici di noi stesse, lo siamo state anche in passato, piuttosto significa fare del mestiere una specie di “mission” che contenga le nostre passioni, i valori in cui indubbiamente crediamo, rifletterci e riconoscerci in ogni minuto speso dentro la fatica quotidiana.
Oggi né la Festa dei Lavoratori, ricorrenza giovanissima perché ha soltanto 132 anni (poco più di tre generazioni di lavoratori, in termini pratici) ma dai moti di Chicago del Primo maggio che contarono oltre undici morti, alla riduzione delle ore di lavoro (da “infinite” ad otto) sancite nella Seconda Internazionale del 1889 da cui promana questa ricorrenza, sembra che per i lavoratori sia cambiato poco o nulla.
Il tempo è un altro, sarebbe irriconoscibile agli occhi di chi era vivo allora.
E’ stato stravolto dalla tecnologia, creatura e vanto di noi esseri umani, che ha fatto un passo molto più lungo di quanto non abbia fatto il pensiero umano nella sua interezza.
Noi Cocche, nel nostro infinitesimale, cerchiamo di essere portatrici di alcuni valori ben lontane (per quanto emotivamente vicine a tutti i lavoratori) dal voler fare proclami politici o sindacali.
Per questa Festa, così  difficile da celebrare oggi, il nostro augurio si avvicina molto di più ad un desiderio che è quello che il lavoro o il mestiere, che è una parola bella e antica, domani possa essere molto più simile all’anima e allo spirito di chi lo porta avanti, non scavalcandone mai né il bisogno, né l’animo e nemmeno l’ambizione.