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DONNA FRANCA FLORIO PER UN GIORNO di Eloisa Lo Piparo

Eloisa Lo Piparo, guida AGT, profonda conoscitrice di una Palermo fatta di anfratti e personaggi epocali, in questo breve post ci racconta la “sua” Donna Franca.
Quella che Eloisa impersona durante i giri in bici, insieme ai turisti, alla ricerca di quella storia ormai andata e di questo straordinario personaggio che tempo non ha.
E’ un regalo che Eloisa fa a Coccadoro e ai lettori di questo blog.

“E’ cominciato tutto un po’ per gioco.
Quel giorno che le suore di San Giuseppe ci aprirono le porte di casa Florio Fitalia, lì capii che mi era stata dischiusa l’intimità di una storia di cui avevo tanto letto e ascoltato ma che improvvisamente mi parlava direttamente, attraverso quei muri, quei brandelli di arredo, quelle maioliche al pavimento. Davanti ai famosi petali di rose, ho sentito e visto la persona che li calpestava, nuda come i suoi piedi sul pavimento, coi quali accarezzava la sua storia d’amore. 

E così, leggendo i diari di Donna Franca, ho finito per conoscere un po’ di più quella donna, così lontana da me nel tempo ma anche nella personalità. Ho cominciato a raccontarla, finché un giorno, così per gioco, ne ho vestito i panni e ho sperimentato quale straordinario esercizio psicologico, ossia il mettersi nei panni degli altri (per quanto non posso di certo vantare doti teatrali).

Il fatto poi di essere così diversa da lei, me l’ha probabilmente fatta analizzare con più attenzione, con più umanità di quanto generalmente la gente le riservi, attaccata com’è alla grandezza del mito che il suo personaggio ha creato. 

Mi è sembrato di vederle lì le sue insicurezze, le sue debolezze, i suoi pentimenti, i suoi dolori. 

Il rapporto di Donna Franca con l’immagine è stato un rapporto ossessivo. La considererei molto contemporanea in questo. La sua vetrina non erano facebook e instagram, ma le serate, i party, il teatro, le occasioni mondane in cui ogni entrata in scena era accuratamente studiata per colpire. E di certo il suo ingresso lasciava sempre il segno. 

Donna Franca aveva dovuto costruire un personaggio che rispecchiasse il ruolo acquisito, di moglie dell’uomo più ricco di Sicilia e uno dei più ricchi di Italia, ma che imponesse anche il suo ruolo nella città, di Regina di Palermo e difendesse il nome di chi “rappresenta la Sicilia nel mondo” (Donna Franca Diari)  . 

La sua bellezza non era canonica, non quantomeno rispetto ai canoni dell’epoca. La sua carnagione ambrata  l’aveva spinta a sperimentare un trattamento al viso per porcellanarlo:  una pratica dolorosissima, più di un lungo tatuaggio, che consisteva nel togliere a piccoli pezzi l’epidermide, spruzzare il volto di sostanze antisettiche e poi passare lo smalto liquido, asciugando poi con ventaglio e passandovi della cipria.

Ma il fascino di Donna Franca era tutto nell’incedere, nel suo portamento, nella profondità del suo sguardo e nell’acume delle sue conversazioni. 

Nelle pagine del suo famoso Diario, Donna Franca accompagna il racconto di ogni evento con la descrizione del suo outfit rigorosamente confezionato da Worth a Parigi. Sappiamo così del vestito di raso color cedro indossato a Palazzo Butera nella serata in compagnia di Giacomo Puccini, reduce dalla prima del Manon Lescaux; della sua mise gialla che spiccava tra tutti gli abiti neri in occasione dell’arrivo del Kaiser Guglielmo II; del vestito di velluto color granato di Durand, che lasciò tutti senza parole, in occasione della cena a casa Whitaker; della maestosa stola di zibellino e del vistoso paio di pendenti di brillanti in parure col collier per l’inaugurazione del teatro Massimo.  

Ma quando si pensa a Donna Franca non si può non pensare  al suo fagotto di gioielli racchiusi in una borsa di maglia d’oro che da solo già valeva un patrimonio, capace di accogliere ori e pietre per circa venti chili . E soprattutto alla sua famosa collana di perle, immortalata nel celebre e controverso ritratto che le fece il Boldini, sulla quale tanto si è favoleggiato ( c’è chi è addirittura arrivato ad affermare che fosse lunga 7 metri).  Così anche  il collier di corallo di Cartier a 13 fili “peau d’ange”, o il collier di brillanti perfettamente identico a quello della regina Alessandra.  

Quei gioielli che erano il segno tangibile dell’amore di Ignazio, della sua presenza durante l’assenza, del suo ritorno dopo ogni allontanamento, li voleva sempre con sé, in ogni viaggio, in ogni occasione. Quando le furono rubati nel 1922 a Viareggio, ne soffrì come se le avessero strappato un pezzo della sua vita. 

Le sofferenze cui la vita la sottopose e le difficoltà che degli ultimi anni della sua vita la porteranno ad alcune riflessioni che lascio alle sue parole: 

Spesso in questi anni mi sono chiesta qual è il valore della vanità, un altare al quale mi sono spesso inchinata, indugiando senza piena coscienza nè dell’atto nè del senso. 

Ritroviamo nelle sue parole le riflessioni comuni di una donna matura, che si interroga sulla vita e sul passato, che si circonda negli ultimi anni della sua vita di affetti sinceri e in questi ritrova un senso nuovo alla sua tormentata esistenza. “

Eloisa Lo Piparo

Foto di Ian Keefe